Un ritratto inedito da parte di una delle penne piĆ¹ prestigiose del giornalismo automobilistico da corsa.
Questa è la storia di uno di noi, anche lui nato per caso nella sconfinata Via Gluck dei motori. Ma questa è anche una storia che varca le barriere della favola, perchè abbiamo di fronte un tizio al quale un giorno un certo Michael Schumacher ha detto (senza scherzare): "Beh, se tu avessi avuto modo di cominciare a guidare quando eri più giovane, sicuramente saresti diventato un campione del mondo". E d'altronde, sempre per restare sui terreni della fiaba, alla fine della fiera Andrea Bertolini campione del mondo lo è diventato sul serio, sebbene forse non nella categoria che ha amato di più. Però, la suggestione emanata dal soggetto è fortissima: basta ascoltarlo, lasciare scorrere il fiume delle parole, per vedere affiorare gli scogli della memoria, le ferite interiori per una notte di pianti, la felicità per una resurrezione sportiva che non è stata tardiva. Andrea Bertolini ha anche avuto l'onore di pilotare una Ferrari, intesa come monoposto di Formula Uno.
Nessuno, allora, si offenderà se qui lo proclameremo il miglior Driver nella storia della terra dei motori, nella storia di Modena.
"Dici di partire dal via, come nelle corse? Va bene. Io sono di Sassuolo, sono figlio di Italino e di Nella e ho un fratello più giovane che si chiama Enrico. Senza esagerare con la piaggeria, naturalmente ti dico che per me la famiglia è stata e resta un punto di riferimento fondamentale. Anzi, man mano che andrò avanti nel racconto capirai come abbia anche influito sulla mia carriera, sullo sviluppo dei miei sogni, sulla evoluzione della mia persona.
La molla della velocità scatta tramite il cugino Daniele, così scopri subito che la famiglia, pure in senso lato, è coinvolta nella storia. Questo cuginetto che andava davvero forte, aveva un kart e un pomeriggio ci troviamo assieme in fondo alla zona delle ceramiche di Sassuolo, dopo via Regina Pacis, dove adesso c'è la grande concessionaria del gruppo Fiat, l'Autorama. Avevo sette anni, salgo sul kart e rimango folgorato, manco fossi San Paolo sulla via Damasco. Dico, non volevo scendere più... Italino, il papà, capisce che io la voglia ce l'ho dentro, ce l'ho nel sangue, me la porto sulla pelle. Dunque si arrende e va a comprarmi un kart. Ancora non avevo dieci anni ed ero già pronto per le competizioni, per le gare, per le sfide. Io per il kart avevo una sorta di amore fisico, era un pezzo di me, una parte della mia persona, non riuscivo ad immaginarmi senza...
Adesso scomodo lo stadio 'Braglia', così facciamo contenti anche gli appassionati di pallone. Che cosa c'entra lo stadio del Modena, dei gialli? Presto detto: nel parcheggio dell'impianto sportivo, organizzano una bella gara. Per i kartisti ultra minorenni. Mio padre mi porta e mi iscrive, io mi diverto come un pazzo e taglio il traguardo al terzo posto. A questo punto non ho dubbi: ci so fare, reggo il confronto con ragazzetti pure più vecchi di me, insomma mi sembra di sognare ad occhi aperti, di sognare da sveglio. Figurati come mi sono sentito quando ho addirittura vinto una corsa. Ad Arezzo. In trasferta. Lontano da casa... la casa, già. Eh, vedi, io da bambino non lo sapevo, ma i sogni muoiono o forse cambiano, dipende dall'età, da tante cose, dalla vita che ti presenta il conto.
Fare il kartista negli anni delle elementari o delle medie mica era un problema, l'attività in quella fase costa poco e papà poteva permettersi di incoraggiarmi, di aiutarmi. Purtroppo non si resta bambini per sempre. Io, in senso metaforico, ho smesso di essere un bimbo quella sera in cui mio padre, che aveva un bar a Sassuolo e insomma non era mica un Paperon de Paperoni, mi ha chiamato in disparte e mi ha detto, cerca di capire, è doloroso anche per me...
Avevo quindici anni e non mi vergogno a confessare che ho pianto per una settimana intera! Tutte le notti a singhiozzare sul cuscino. Ma c'era poco da fare, se non ci sono i soldi non puoi correre e se non puoi correre il mondo all'improvviso ti sembra ostile, nemico, crudele, anche se non è così. Calcola che io poi avevo una passione travolgente per la Formula Uno, in quegli anni deliravo per Ayrton Senna e tu lo sai da dove arrivava Senna, veniva dal kart. Vuoi che non abbia immaginato, nelle fantasie di un innocente, di ripercorrerne il cammino?
Papà era dispiaciuto, condivideva il mio rimpianto. Per tirarmi su il morale, mi comprò una moto. Era una Tm, con la quale potevo partecipare al campionato italiano Enduro. Cosa che ho fatto, ho vinto pure il titolo. Ma non c'era niente da fare. Hai presente quando una bella ragazza ti muore dietro ma tu hai sempre in mente quell'altra, quella che magari non ti fila per niente? Io uguale,tanto di cappello per le moto, eppure nel mio cuore c'era posto esclusivamente per le quattro ruote, per le automobili... Ma il sogno era finito. O almeno così credevo io. La moto era un ripiego.
Poi un giorno, nel 1990, mi arriva la chiamata: mi assumono alla Ferrari, per la sala prove motori. Oddio, io da bambino sognavo di diventare un pilota della Rossa e non un operaio, ma mica si può avere tutto dalla vita. E poi sempre di motori si trattava, no?
Adesso te ne racconto una carina. Nella mia qualità di tecnico motorista, l'azienda, cioè sempre la Ferrari, decide di mandarmi negli Stati Uniti per seguire una macchina, la 333Sp, iscritta ai campionati che disputano i piloti gentlemen, insomma quei signori spesso pasciuti che hanno molti soldi, un pò di pancia e la voglia di togliersi qualche sfizio. Oh, intendiamoci, nulla contro costoro, il mondo è bello perchè è vario, però io, quando li vedevo andare al bagno, prima di una prova o di una corsa, pensavo tra me e me: okay, ora entro di soppiatto nella toilette e metto kappao quel ciccione che deve fare la gara, così ho la scusa per sostituirlo sulla griglia di partenza... Non l'ho mai fatto, non ho picchiato nessuno per diventare un pilota, ma magari da fuori qualcuno si rendeva conto della mia frenesia, di quanto mi mancasse la competizione, l'adrenalina del confronto con il cronometro e con i rivali, il duello curva dopo curva. Per me guidare è un piacere, è qualcosa che si avvicina all'estasi. E allora Dario Benuzzi, che era il capo dei collaudatori delle Ferrari di serie, mi convoca e mi domanda se mi garberebbe dargli una mano, portando a spasso le vetture del Cavallino, i prototipi, per strade e autostrade...
Credo che l'idea gliel'abbia data Piero Corradini, un mio carissimo amico, un meccanico 'storico' delle Rosse, negli anni di Lauda e di Villeneuve. Noi lo chiamiamo 'Piroun' e anche lui viene dal giro dei kart, ha una passionaccia per i giocattolini su quattro ruote e sono convinto avesse afferrato il mio senso di inquietudine, il mio desiderio di avvicinarmi, almeno avvicinarmi, a quelle che erano le speranze di Andrea bambino... Le speranze del bambino! Ero il collaudatore più giovane della Ferrari quando, nel 1998, incontro Giancarlo Giusti e Roberto Frascari. Contrariamente a me, loro non pensavano che quello delle corse fosse un discorso chiuso. Infatti si presentano spiegando che hanno una scuderia che si chiama ' Maranello Kart' e che pensano proprio che io debba andare a gareggiare per la squadra in questione...
Ho mandato indietro l'orologio delle emozioni. Quanto tempo era passato, dall'ultima corsa? Forse pure troppo! E allora accetto e mi iscrivo al Torneo delle Industrie, prestigiosissima competizione in programma sul circuito di San Pancrazio. La mia categoria è la 125 Formula C. Tieniti forte: vinco! Subito, al primo colpo... Doveva essere un segno del destino. E non è stato l'unico. Infatti, chi ti incontro a San Pancrazio? Un ragazzino nero, che andava fortissimo con il kart, tanto che nella stessa giornata lui si impose nella Formula A 100. Sai chi era? Lewis Hamilton, la nuova stella della F1, il giovanotto di colore che nel 2007 ha debuttato nei Gran Premi facendo sfracelli con la McLaren Mercedes. Evidentemente era un predestinato, le sue prestazioni erano eccezionali già allora...
A volte mi chiedo, lo ammetto, quanto e se la mia storia sarebbe stata diversa se avessi incontrato anche io, come Lewis, un mecenate disposto a finanziarmi sin da quando ero bambino. A lui è capitato, ha incontrato Ron Dennis e la cronaca si è trasformata in gloria. Sarei stato capace di raggiungere certe vette? Una risposta ce l'avrei, ma per pudore preferisco custodirla nel mio cuore, tanto si tratta di sensazioni non dimostrabili... Hamilton è andato avanti per la sua strada, io per la mia. Il ritorno felice ai kart facilita altre situazioni collegate all'ambiente delle corse. Stefano Bonaccorsi, un bravissimo ragazzo di Maranello, il mio meccanico di fiducia, mi informa che il titolare di una azienda che si chiama Gardesa, il signor Fiorino, sarebbe interessato ad appoggiarmi per un debutto nel mondiale Gt, al volante di una macchina vera...
Non metterti a ridere, ma la macchina della quale si parlava era una Porsche. Ora, dilemma amletico: può un dipendente della Ferrari, un collaudatore delle vetture di Maranello, legare la sua immagine di pilota alla concorrenza, ad un marchio alternativo? Nel dubbio, prendo il toro per le corna e chiedo un appuntamento ad Amedeo Felisa, che della Ferrari è il direttore generale, una gran persona e non solo perchè ha scelto di non frenare il mio entusiasmo. Infatti Felisa mi disse: Bertolini, per un anno va anche bene, corri con la Porsche e divertiti, però sia chiara una cosa, se funziona tra dodici mesi il mondiale Gran Turismo lo fai, ma con una Ferrari. È stato di parola. Nel 2001, con la Porsche, ho imparato tante cose, pur non vincendo gare. E nel 2002 sono salito sulla 360, una delle auto più belle uscite dalle officine di Maranello. La mia scuderia era la Gmb, quella di Andrea Garbagnati. Lì ho intuito che stava arrivando la svolta vera.
Ero un dipendente della Ferrari, facevo il collaudatore ma avevo anche una identità da pilota. Mi hanno subito coinvolto nello sviluppo del reparto corse della Maserati, un marchio da rilanciare pure attraverso le competizioni. Già dal 2001 avevo provato l'emozione di assaggiare i sapori della Formula Uno: non ancora quella vera, ma avevo il compito di verificare l'affidabilità delle monoposto storiche, la macchina di Niki Lauda piuttosto che quella di Jody Scheckter. Ma il meglio doveva ancora venire!
Nel 2003, al volante della 360, colleziono quattro vittorie e perdo il mondiale Gran Turismo appena per un punto. Non faccio in tempo a rammaricarmi che suona il telefono. Dall'altra parte c'è Stefano Domenicali, il direttore sportivo della Scuderia, il braccio destro di Jean Todt. Mi fa: Andrea, domattina passa in officina che dobbiamo prendere le misure per il sedile. Per il sedile? Giuro che sull'istante non ho capito, io mica ero un pilota della squadra di Formula Uno! O forse sì, lo stavo diventando a mia insaputa. Infatti Todt mi aveva scelto per una serie di test. Con la macchina di Schumi e Barrichello, mica con una vettura d'epoca! Sono andato a Vairano e poi a Fiorano, quindi al Mugello e infine a Monza. Ero un uomo del team, a tutti gli effetti. Scoprire la Formula Uno mi ha regalato una sensazione fortissima. Irripetibile, inimitabile.
Il primo giorno, quando mi sono calato nell'abitacolo, mi è ripassata davanti la vita, tutta intera. Mi sono sentito come il bambino che a sette o otto anni delirava per il kart. E ho compreso che, al tirare delle somme, potevo considerarmi fortunato. Gente come Todt e come Schumi mi ha trattato come uno di famiglia. Ero uno di loro, punto e stop. Il tedesco l'ho conosciuto bene, ci siamo spesso scambiati pareri e naturalmente da lui ho imparato tutto, non finirò mai di ringraziarlo, così come ho un debito di gratitudine nei confronti dell'avvocato Montezemolo. Anche Montezemolo ha spinto perchè lo sviluppo della Maserati MC12 venisse affidato a me, in pista. Tu non sai quanto forte sia l'orgoglio che provo: sono stato io, l'ex bambino di Sassuolo, a riportare alle corse la Casa del Tridente, il marchio di Fangio. È stata una avventura fantastica, assieme a gente preparatissima come Claudio Berro che mi ha voluto alla Maserati Corse o come l'ingegner Ascanelli un vero padre per me nel mondo del corse.
Con la MC12 la prima vittoria assoluta è arrivata su un circuito della Germania orientale, una località dal nome impronunciabile, Oschersleben. Poi ho tagliato il traguardo per primo in Cina. E infine, nel 2006 sempre con la Maserati mi sono laureato campione del mondo. Campione del mondo! Fa un bell'effetto, questa etichetta.
Rimpianti? I soldi che non c'erano quando ero ragazzo. La curiosità che non potrò appagare? Scoprire come sarebbe andata a finire, se i quattrini ci fossero stati. Il presente? Correre e vincere, perchè ovviamente non ho tempo da perdere, ne ho consumato troppo. L'ultimo sogno? La 24 Ore di Le Mans, mi piacerebbe da matti disputarla con una Maserati, disputarla avendo le carte in regola per conquistarla, a livello assoluto. Oppure no, i sogni di chi non è più bambino acquistano una dimensione diversa. L'ho detto ad Angela, mia moglie: se avessimo un figlio che fa il pilota sarebbe una bella cosa, mi divertirei un sacco. E poi mi piacerebbe dotare Modena di una pista da kart a livello mondiale, è assurdo che nella terra dei motori non ce ne sia nemmeno una.
Sarebbe uno strumento socialmente utile, potremmo utilizzarla per i corsi di educazione stradale da riservare ai bambini, a me non pare una brutta idea...". È un'idea da campione.
Per gentile concessione di Leo Turrini, tutti i diritti riservati.